Perché cancellare il debito pubblico dell’Italia ci costerebbe caro

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Tortuga è un think-tank di studenti di economia nato nel 2015. Attualmente conta 42 membri, sparsi tra Italia, Francia, Belgio, Inghilterra, Germania, Austria, Senegal e Stati Uniti. Scrive articoli su temi di economia, politica e riforme, ed offre alle istituzioni un supporto professionale alle loro attività di ricerca o policy-making

Tanto si è scritto sulla proposta contenuta in una prima bozza di contratto di governo di chiedere alla BCE di cancellare 250 miliardi di debito pubblico italiano. È peraltro ragionevole ipotizzare che anche questa proposta, filtrata soltanto grazie agli organi di stampa negli scorsi giorni, abbia contribuito allo scontro istituzionale consumatosi fra il Capo dello Stato e i leader di Lega e Movimento 5 Stelle. Tra le tante voci contrastanti, forse non si è ancora fatta chiarezza.

È una buona idea, oppure no? E perché?

Di seguito proviamo a spiegare, senza entrare nei dettagli della proposta, come la cancellazione non sia una modalità gratuita di estinzione del debito (o di parte di esso, come viene proposto), ma una modalità di rientro alternativa all’equilibrio di bilancio,economicamente più regressiva, giuridicamente impossibile e politicamente poco attuabile, almeno allo stato attuale.

È importante tenere presente che le problematiche economiche, giuridiche e politiche che rendono questa misura difficilmente attuabile sono indissolubilmente legate fra loro, in quanto gli impedimenti giuridici (contenuti nello statuto della BCE) si propongono di risolvere contenziosi politici che deriverebbero dalle conseguenze economiche dell’operazione.

Il cancelliere tedesco Angela Merkel e il governatore della Bce Mario Draghi. Foto Sean Gallup/Getty Images

Se un paese in regime di crescita economica positiva ma contenuta, come l’Italia di oggi, ha contratto un ingente debito, può mantenerne la sostenibilità attraverso un sostanziale equilibrio tra entrate e uscite dei conti pubblici, oppure richiedendo alla banca centrale di cancellarlo o monetizzarlo (stampando moneta per ripagare i creditori).

La prima delle due soluzioni lascia in capo alla politica la possibilità di decidere a chi far pagare più tasse e a chi meno, quali spese pubbliche contenere e quali invece aumentare, mentre la seconda delle soluzioni agisce attraverso l’estinzione di parte del debito o la creazione di moneta.

Secondo la teoria economica (e molti esempi del passato, compreso il nostro paese), la creazione di ingenti quantità di moneta da parte di una banca centrale dall’oggi al domani, vale a dire senza un corrispondente ed effettivo aumento della domanda di risparmio, produce un aumento di prezzi generalizzato, legato ad una più ampia disponibilità di moneta ed alla sua conseguente perdita di valore. Questo è il modo, indiretto, attraverso il quale il debito viene reso sostenibile: un aumento generalizzato dei prezzi dei beni di consumo. Una misura che spesso in passato ha coinciso con una drastica diminuzione del potere d’acquisto delle famiglie, in particolare di quelle più povere.

Il simbolo dell’euro davanti la Banca centrale europea – Ralph Orlowski/Getty Images

Nel caso in cui invece la BCE cancellasse (senza perciò monetizzare) dal suo bilancio 250 miliardi di debito pubblico italiano, l’operazione si configurerebbe a tutti gli effetti come una forma di default. La principale conseguenza di un default sul debito pubblico sono, inevitabilmente, tassi di interesse più alti in futuro. Se perciò uno stato decide di non ripagare parte del debito, deve anche tenere in conto che il costo di un suo finanziamento futuro sarà molto più alto di quello attuale, soprattutto se agli investitori viene annunciato un piano fiscale dalle uscite esose e dalle entrate misere, come quello contenuto nel contratto di governo.

Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea – Getty Images

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