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Molto spesso sulle targhe degli avvocati oppure all’ingresso dei tribunali è possibile vedere la raffigurazione di una donna bendata che regge in una mano la bilancia e nell’altra la spada: è la giustizia. Ma perché è rappresentata così? E soprattutto, perché la giustizia è bendata? Scopriamolo.
Dike
Nella mitologia greca Dike era la dea della giustizia, figlia di Zeus e di Temi (una delle tante spose del re dell’Olimpo). Secondo la leggenda, Dike viveva sulla terra quando Crono governava sull’Olimpo, prima di essere detronizzato dal figlio Zeus. Era l’età dell’oro, tempi felici per gli uomini che ancora non conoscevano la sofferenza, la guerra e il lavoro. Quando Zeus sostituì il padre, il mondo conobbe un’epoca buia e gli uomini iniziarono a praticare la violenza. Dike, disgustata da tutto ciò, decise di abbandonare la terra e andò in cielo, nella costellazione della Vergine.
Temi
Secondo un’altra versione del mito, la prima, vera dea della giustizia non sarebbe stata Dike, bensì la madre, Temi (Thémis in greco). Per gli appassionati di mitologia greca, bisogna precisare che Temi non era propriamente una dea, bensì una titanide(femminile di titano), cioè una delle figlie di Urano; ella, pertanto, era sorella di Crono e zia di Zeus. Accanto al re dell’Olimpo presiedeva all’ordine universale, ai giuramenti e alla giustizia. Si ritiene abbia fondato Delfi, sede dell’oracolo più celebre dell’antichità. È a Temi che i Romani si riferivano quando invocavano la iustitia. Le sue caratteristiche principali sono la spada, la bilancia e la benda sugli occhi: la spada simboleggia la punizione, cioè la sanzione comminata dalla legge, ma anche la severità della stessa; la bilancia fa riferimento all’attività del giudice, che soppesa le argomentazioni delle parti; la benda indica, invece, l’imparzialità della giustizia.
La legge è uguale per tutti
Il mito è sempre incerto: è un racconto (mythos in greco) con il quale si cerca di dare spiegazione a fenomeni incomprensibili. D’altronde, secondo alcuni studiosi, Dike sarebbe una divinità artificiale inventata dai filosofi: sarebbe, cioè, una personificazione di comodo, fatta per fornire un simbolo più che per riferirsi ad una reale divinità [1]. Al di là del dibattito scientifico, possiamo accettare l’idea che la giustizia possa essere sia la dea Dike che la titanide Temi, oppure che la prima sia successa alla seconda in qualità di erede naturale. Ciò che è certo, comunque, è che la benda sugli occhi rappresenta l’imparzialità della giustizia: raffigura, cioè, la frase “la legge è uguale per tutti” o, come dice la Costituzione italiana, «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge» [2].
La dea bendata
Quando si parla della dea bendata, però, si fa praticamente sempre riferimento alla fortuna. Che giustizia e fortuna siano molto simili? È facile pensarlo, a volte. Nella mitologia greca, Tiche (Tyche) era figlia di Zeus, il quale le diede il potere di decidere della sorte degli uomini. Tiche era irresponsabile nelle sue decisioni e correva qua e là facendo rimbalzare una palla per dimostrare che la sorte è incerta. Ella viene quasi sempre personificata come una donna che regge una cornucopia (simbolo dell’abbondanza) o un timone (simbolo della guida nelle acque mutevoli e instabili della vita). I Romani, successivamente, identificarono Tiche con la dea della fortuna. Soltanto in epoca rinascimentale, però, questa dea venne rappresentata con gli occhi bendati, simbolo della casualità della buona sorte. Pertanto, nella mitologia greca, la benda sugli occhi spetta di diritto alla dea della giustizia.