Perché si parla così poco delle “marocchinate” avvenute al termine della seconda guerra mondiale?

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Le marocchinate, quella pagina nera e puzzolente che tutti preferiscono nascondere sotto il tappeto della storia, come se ignorarla potesse cancellare l’orrore.

Si tace per vergogna, per ipocrisia, e perché il sangue e il dolore degli innocenti sono sempre stati merce sacrificabile sull’altare della diplomazia. Durante la Seconda Guerra Mondiale, mentre tutti si riempivano la bocca con parole come “liberazione” e “giustizia”, nelle campagne italiane, specialmente nel Lazio e in altre regioni del centro-sud, si consumava uno dei crimini più sordidi e dimenticati della nostra storia.

Le marocchinate non sono altro che il risultato di una scelta meschina e calcolata. Il Corpo di Spedizione Francese in Italia (CSF), composto in larga parte da truppe coloniali, i cosiddetti “goumiers” – soldati marocchini e di altre colonie francesi – fu scatenato contro la popolazione civile italiana. L’esercito francese, a quanto pare, li lasciò liberi di fare ciò che volevano come ricompensa per il loro “coraggio” in battaglia. Una vile concessione: “Prendete donne, bambine, anziane, fate quello che volete, basta che vinciamo questa dannata guerra”. Così, quelle bestie assetate di violenza e privi di qualunque traccia di umanità si lanciarono come lupi famelici sulle prede indifese.

Il risultato? Migliaia di donne stuprate, spesso davanti ai propri figli o mariti legati e costretti a guardare. Uomini mutilati, donne ridotte a larve umane, bambini testimoni di orrori inenarrabili. E non pensare che i numeri siano piccoli. Si parla di decine di migliaia di vittime. Le cronache dell’epoca, per quanto frammentarie, raccontano di stupri di gruppo così brutali che molte donne morirono per le ferite. Altre si suicidarono, incapaci di convivere con la vergogna. La Chiesa, vigliacca come sempre, pregava in silenzio senza muovere un dito, mentre i governi preferivano voltare lo sguardo altrove.

E perché oggi nessuno ne parla? Perché ricordare significa sporcare l’immagine degli Alleati, i grandi “liberatori” della tirannia nazifascista. È una questione di propaganda. Loro erano i buoni, punto. E i buoni non possono aver commesso crimini così abominevoli, giusto? I libri di storia, scritti dai vincitori, non hanno spazio per questa sporcizia. E poi, chi vuoi che voglia scavare in un passato così nauseabondo, dove i carnefici erano anche quelli che sventolavano la bandiera della libertà?

Forse, alla fine, si tace anche per convenienza. Parlare delle marocchinate significa mettere il dito in una piaga che continua a pulsare, significa riconoscere che la guerra non ha eroi, solo mostri mascherati da salvatori. E allora meglio tacere, lasciando che i fantasmi delle vittime vaghino silenziosi, dimenticati, mentre noi celebriamo una storia costruita sulle menzogne e sul sangue innocente.

Fonte immagini: Google