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Francamente non so se rappresenti il top come fine ridicola, però di certo quella di Starace (ex Segretario Nazionale del PNFI, secondo in grado nel Regime dopo Mussolini) fu una morte tra il comico e il tragico.
Volendo anche la sua vita fu una mezza barzelletta: dopo essere assunto alle più alte cariche durante il Ventennio, ne fu allontanato e “scaricato” da Mussolini stesso.
In un dibattito con Leandro Arpinati, sottosegretario all’interno e presidente del CONI che in proposito ebbe a dire:
“Starace? Ma Starace è un cretino!”.
La risposta del Duce fu perentoria:
“Sì, ma un cretino fedele”.
Di lui si disse anche che “Venne innalzato senza averne le doti e abbassato senza averne le colpe”.
Il 28 luglio (tre giorni dopo la caduta di Mussolini) Starace fu arrestato e tradotto al carcere di Regina Coeli. Ma venne rilasciato, arrestato di nuovo e di nuovo rilasciato nel giro di pochi giorni. Trasferitosi al Nord dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, si rifugiò a Vimercate presso alcuni amici. In novembre venne arrestato, su ordine di Mussolini, dalle autorità della Repubblica sociale italiana, che lo accusavano di contatti epistolari con il governo Badoglio. Venne recluso nel carcere di Verona fino all’aprile 1944; liberato, fu di nuovo fermato due mesi dopo e internato nel campo di Lumezzane, da dove uscì in settembre.
Ma le tribolazioni non erano ancora finite.
Si stabilì in un modesto appartamento del capoluogo lombardo in viale Libia, vivendo in semiclandestinità.
La mattina del 29 aprile 1945, quando in tuta da ginnastica, si apprestava a fare jogging venne riconosciuto da un gruppo di partigiani. E qui viene il comico.
“Starace, dove vai?” gli chiesero, per sentirsi rispondere: “Vado a prendere il caffè” rispose serafico.
Venne caricato sul furgone e portato in Piazzale Loreto dove, davanti alla salma del suo idolo Mussolini, fece il saluto fascista. Non si capisce se di sua sponte oppure se vi fu costretto.
Dopo questo venne lui stesso fucilato.