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Ma per farli diventare grandi i genitori devono sborsare un sacco di soldi. Allora è importante conoscere, anche in modo approssimativo, di quanti soldi parliamo. Consapevoli o meno, l’idea che se ne ha spesso incide nella scelta di avere (o non avere) dei figli. Non solo, serve anche per valutare l’incidenza in caso di emergenze come malattia, morte, licenziamento di uno dei genitori e/o di separazione/divorzio del nucleo familiare. Una serie di mutamenti che quasi sempre portano alla medesima conseguenza: il drastico impoverimento del nucleo familiare.
Ma i costi di un figlio dipendono dalla sua età, dal reddito dei genitori e dal loro patrimonio, dalla composizione familiare, dalla città di residenza, dagli stili di vita, dal sistema di welfare pubblico…. Come è possibile avere degli importi verosimili?
Federconsumatori periodicamente pubblica uno studio piuttosto attendibile dal titolo “I costi per crescere un figlio/a da 0 a 18 anni” (l’ultimo è del 2016). Vengono prese in considerazione le spese per un figlio di una famiglia bi-genitoriale, che abita in una grande città del centro‐nord, in un’abitazione di circa 100 mq con mutuo o affitto da pagare.
I tipi di costo attribuiti al figlio sono:
- casa: che comprende la quota parte dei costi di affitto o mutuo, arredamento, tasse, bollette, ecc.;
- alimentazione: le spese per pasti, spuntini, mense e ristoranti;
- trasporti e comunicazioni: che comprende la quota di ammortamento per l’acquisto dell’auto, carburante, manutenzione, assicurazione, trasporti pubblici, telefonia fissa e mobile e connessione internet;
- abbigliamento: acquisto, pulitura e riparazione di scarpe e vestiario;
- salute: i costi non coperti dal servizio pubblico (es. dentista, fisioterapia, psicologo, ecc.);
- educazione e cura: spese per baby-sitter, tasse scolastiche, libri, ripetizioni, doposcuola, viaggi di studio, computer;
- varie: spese per cura personale, paghetta, sport, intrattenimento, viaggi, regali.
Figlio: più cresce, più costa
E dunque?
E dunque per crescere un figlio da 0 a 18 anni servono 113 mila euro alle famiglie che hanno un reddito basso (fino a un reddito di 22.100 euro annui), 171 mila euro alle famiglie con un reddito medio (37.500€/anno), 271 mila per quelle con un reddito alto (sopra i 68.000€/anno).
Nella tabella qui sotto è possibile vedere questi costi divisi per fasce di età:
Reddito medio Età del figlio | Reddito basso fino a 22.100 €/anno | Reddito Medio
37.500 €/anno | Reddito Alto oltre 68.000 €/anno |
0‐3 anni | 5.850€/anno | 8.400€/anno | 13.800€/anno |
3‐5 “ | 5.950€/anno | 8.680€/anno | 14.250€/anno |
6‐8 “ | 6.100€/anno | 9.100€/anno | 14.700€/anno |
9‐11 “ | 6.300€/anno | 9.450€/anno | 15.400€/anno |
12‐14 “ | 6.600€/anno | 9.950€/anno | 15.800€/anno |
15‐18 “ | 7.100€/anno | 11.400€/anno | 16.500€/anno |
Spesa totale a 18 anni | 113.700 € | 170.940 € | 271.350 € |
I totali implicano nei 18 anni una spesa annuale media pari a 6.300 euro (525 euro al mese) per le famiglie con reddito basso, 9.500 euro (790 euro al mese) per le famiglie con reddito medio e 15.050 euro ( 1.255 euro al mese) per le famiglie a reddito alto. In pratica crescere un figlio fino a 18 anni comporta tra il 25% e il 35% di spese del totale del reddito.
Nella tabella qui sotto invece i costi di un figlio (fascia di età 15-18 anni) per tipologia di costo.
Reddito medio Categoria di spesa | Reddito basso fino a 22.100 €/anno | Reddito Medio 37.500 €/anno | Reddito Alto oltre 68.000 €/anno |
Abitazione | 1.880 | 3.275 | 4.450 |
Alimenti e bevande | 1.280 | 1.865 | 2.470 |
Trasporti e comunicazione | 1.145 | 1.780 | 2.575 |
Abbigliamento | 655 | 980 | 1.485 |
Salute | 380 | 650 | 1.050 |
Cura & | 780 | 1.365 | 2.150 |
Varie | 980 | 1.450 | 2.320 |
Totale annuale | 7.100 € | 11.365 € | 16.500 € |
Totale mensile | 591 € | 947 € | 1.375 € |
Il luogo dove si cresce un figlio ha ovviamente un’incidenza importante sui costi per cui, tenendo come riferimento le spese di un reddito medio, si ottengono le seguenti differenze territoriali (la fascia di età presa in considerazione è sempre 15-18 anni).
Nord Ovest | Nord est | Centro | Sud e Isole | |
Area urbana | 11.365€ | 12.325€ | 10.420€ | 8.930€ |
Media città | 9.735€ | 11.215€ | 8.940€ | 7.545€ |
Area rurale | 7.678€ | 8.180€ | 7.440€ | 6.290€ |
Mantenere una famiglia: meno male che ci sono i nonni
Undicimila euro all’anno, praticamente quanto un affitto o un mutuo a Roma o a Milano.
E non è finita. Se si lavora, serve qualcuno che si prenda cura del figlio e spesso la madre è costretta a rinunciare al proprio lavoro, dopo anni (e soldi) di formazione e ricerca. Per chi invece continua a lavorare full time, la scelta è fra girare l’intero stipendio alla babysitter o contare su un’alternativa. L’indagine Eurispes del Rapporto Italia 2017 lo mostra, spiegando che il 23% delle giovani famiglie consegna direttamente i propri figli ai nonni.
Ma oggi i genitori vogliono lavorare entrambi, i nonni in genere sono lontani e quindi si fanno sempre meno figli. Giusto?
I dati elaborati da Banca d’Italia nell’ultima “Indagine sui bilanci delle famiglie” (2015), mostrano proprio come l’aumento sempre maggiore dei costi per mantenere un figlio abbiano accompagnato la trasformazione del nucleo familiare. Nel 1977 vi erano poco meno di 17 milioni di famiglie composte, in media, da 3,3 componenti; nel 2014 il loro numero era salito a quasi 25 milioni e la dimensione media era diminuita a 2,5 persone. E il calo della dimensione media si è accompagnato con il mutamento delle tipologie familiari: si è dimezzata l’incidenza delle coppie con figli (dal 63 al 34 per cento) ed è triplicata quella delle famiglie con un solo genitore (dal 9 al 30 per cento).
Mantenere una famiglia è più facile con la busta paga, con la pensione o con la partita IVA?
A mettere a confronto le tre diverse fonti di reddito è stato uno studio della Cgia di Mestre. La categoria più a rischio di povertà è quella delle partite IVA. Secondo questo studio, nel 2015 il 25,8% delle famiglie mantenute da un lavoratore autonomo, quindi una su quattro, viveva al di sotto della soglia fissata dall’Istat per l’indice di povertà. Tra i pensionati il rischio è stato riscontrato nel 21% dei casi. Una maggiore sicurezza per mantenere la famiglia viene dai lavoratori dipendenti che solo nel 15,5% dei casi sono a rischio povertà.
Perché è inutile guadagnare troppo
Ma esiste un reddito giusto per essere una famiglia felice?
È una buona domanda. Già nel 1974 Richard Easterlin, un docente di economia americano, aveva definito il paradosso della felicità (o paradosso di Easterlin), secondo cui, quando aumenta il reddito, la felicità umana cresce fino a un certo punto, poi diminuisce seguendo una curva ad U rovesciata. E ancora oggi molti studiosi sostengono che esiste un numero magico, una cifra di reddito sopra la quale è inutile andare, perché la felicità non aumenta. Negli Stati Uniti questa sottile linea rossa sta tra i i 4.500 e i 6.000 dollari al mese: oltre, non vale la pena.
E in Italia? Quanto costa da noi la felicità?
Secondo l’ex direttore del Censis Giuseppe Roma «se si ha un figlio servono 3.500 euro al mese, purché non si abbia un mutuo da pagare». È una cifra ben al di sopra delle possibilità di una buona metà della popolazione, che secondo le dichiarazioni dell’Irpef (ammesso che siano veritiere), non arriva a 1.250 euro, mentre la media generale è di 1.600. Ed è assai superiore anche al reddito considerato minimo per vivere “senza lussi ma senza privarsi del necessario”: 1.400 euro al mese se si è single, 2.000 in coppia, 2.400 in una famiglia composta da tre persone (ancora dati Banca d’Italia).
Lei ha un consiglio da darci?
Possibilmente non fermarsi al primo figlio: il secondo già costa il 30 per cento in meno.
In sintesi possiamo dire che:
– Crescere un figlio al Sud o nelle isole costa meno che crescere un figlio al Nord.
– Il nucleo familiare si è trasformato proprio a causa dei costi.
– Le partite Iva sbarcano il lunario con molti più problemi degli altri.
– Una famiglia di tre persone può essere felice con 2.400 euro al mese