Rapporto Bes-Istat: più benessere, ma due milioni di giovani in sofferenza

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Il dato desterà probabilmente qualche sorpresa, visto che da anni nell’opinione pubblica nazionale (puntualmente segnalato a ogni rilevazione) prevale un diffuso sentimento di difficoltà, malessere e malcontento,  ma questo è quello che emerge dall’ultimo rapporto Bes (Benessere equo e sostenibile) realizzato dall’Istat, giunto ormai alla sua settima edizione e ideato per andare oltre la misurazione del Pil:  nell’ultimo anno, gli indicatori segnalano – in decisa controtendenza con il sentimento prevalente di cui si è appena detto – un miglioramento del benessere.

Il Bes si caratterizza per “indagare” il benessere sotto diversi profili, valutando qualcosa come  130 indicatori articolati in 12 domini, tra i quali salute, istruzione e formazione, lavoro, benessere economico, relazioni sociali ma anche politica,  sicurezza; ambiente, paesaggio, e patrimonio culturale, innovazione e qualità dei servizi.

“Oltre il 50% del totale dei circa 110 indicatori per cui è possibile il confronto”  attesta l’Istat “registra un miglioramento”. A livello territoriale, i valori più elevati si rilevano al Nord, quelli più bassi al Centro.

Analizzando le diverse sfere alla base del Bes, si confermano difficoltà su lavoro, conciliazione dei tempi di vita e soddisfazione economica, con un disagio particolare per i giovani. Sono quasi due milioni i giovani tra i 18 e i 34 anni in condizioni di sofferenza, ovvero a cui mancano due o più dimensioni del benessere (dalla salute al lavoro, dalla sfera sociale a quella territoriale, passando per l’istruzione). Quella che l’Istat chiama la “multi-deprivazione” è più alta, si sottolinea, “tra i giovani adulti di 25-34 anni e nel Mezzogiorno”.
Criticità emergono anche sul fronte dell’istruzione. Tra i ragazzi del secondo anno delle scuole superiori la quota di coloro che non raggiunge la sufficienza (low performer) nelle competenze è del 30,4% per l’italiano e del 37,8% per la matematica. “Nelle Regioni del Mezzogiorno” sottolinea l’Istituto centrale di statistica “la quota di studenti che non raggiungono un livello sufficiente sale  al 41,9% per le competenze in italiano e al 53,5% per quelle in matematica”.
Nel 2018, la fiducia in alcune istituzioni “è migliorata ma il voto medio rimane sotto la sufficienza”: 4,4 per il sistema giudiziario, 3,8 per il parlamento nazionale e solo 2,7 per i partiti politici. Permane su livelli elevati, ma stabili nell’ultimo anno, la fiducia nelle Forze dell’ordine (voto medio 6,6) e nei Vigili del Fuoco (voto medio 8).

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Inevitabilmente corposo il capitolo dedicato alla salute, dove emerge innanzitutto un progresso nella speranza di vita alla nascita, che raggiunge il massimo storico, 82,3 anni (80,9 anni per gli uomini e 85,2 anni per le donne). La maggiore longevità femminile si accompagna però “a condizioni di salute più precarie”. Che la vita più lunga pretenda qualche prezzo da pagare, del resto, è ampiamente dimostrato dal dato della speranza di vita in buona salute alla nascita, che al Nord è di 59,3 anni, contro i 56,3 anni delle Regioni del Sud (tre anni secchi in meno) e che spiega ampiamente perché i tre quarti delle risorse sanitarie sono assorbiti dalla terapia delle cronicità correlate all’età.

A ogni buon conto, il nostro Paese si conferma al secondo posto per la speranza di vita alla nascita nella graduatoria dei 28 Paesi Membri dell’Unione Europea (80,9 anni il valore medio), preceduto soltanto dalla Spagna (83,4 anni). Dati che però cambiano se analizzati per genere: nel 2017 un uomo nato in Italia, così come in Svezia, ha l’aspettativa di vita più elevata rispetto a tutti i Paesi dell’Unione Europea, ossia 80,8 anni. Una donna italiana può aspettarsi di vivere fino a 85,2 anni, ovvero ben al di sopra del valore medio Ue (83,5 anni), ma meno che in Francia (85,6 anni) e in Spagna (86,1).

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Pochi i progressi in materia di diffusione di stili di vita più salutari, anche se va segnalta la diminuzione delle persone sedentarie, che scendono dal 37,9% del 2017 al 35,7% nel 2018. Una diminuzione che riguarda soprattutto le donne, che segnano 2,7 punti percentuali in meno, contro il -1,7 per gli uomini. Resta invece sostanzialmente invariat la quota di persone in eccesso di peso nella popolazione adulta ed è in qualche modo una buona notizia, dopo gli aumenti registrati nelle precedenti edizioni del rapporto. La “ciccia” è più di casa al Sud, dove si continuano a registrare i valori più alti, anche se si riducono le differenze con le Regioni del Centro, dove le persone in sovrappeso o obese passano dal 41,9% a 43,3%. Il dato poco confortante è che nel 2018 in 13 regioni su 21 la quota di adulti in eccesso di peso è aumentata, con valori massimi in Liguria e in Molise (circa 4 punti percentuali). Confermata anche la maggiore diffusione dell’eccesso di peso tra gli uomini (54,3 % rispetto a 35,8% delle donne).
Sempre il Centro è il distretto del Paese (e il dato, in teoria, contrasta con l’aumento dell’obesità) dove una maggiore quota di persone consuma adeguate quantità di frutta e verdura (22,2% rispetto al 21,8 % nel Nord e al 15,1% nel Mezzogiorno).
Nell’età adulta (20-64 anni) è particolarmente rilevante la mortalità per tumori maligni, considerata prematura ed evitabile, almeno in parte, se contrastata con un’adeguata prevenzione e una diagnosi tempestiva. Nel 2016, il tasso di mortalità per queste patologie è stato pari a 8,7 per 10 mila residenti, leggermente inferiore rispetto al 2015 (8,9 per 10 mila abitanti). Nel 2016 il tasso di tumori maligni per le donne è di 7,7 per 10 mila, valore inferiore sia al 2015 che al 2014 (8 e 7,9 per 10 mila, rispettivamente).
Negli uomini la mortalità è più elevata: il valore nel 2016 è pari a 9,6 per 10 mila abitanti. A livello territoriale si conferma e tende ad ampliarsi lo svantaggio del Mezzogiorno. Il valore più elevato dell’indicatore, sia per gli uomini sia per le donne, si registra in Campania (rispettivamente 11,7 e 9,0 per 10 mila abitanti).

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