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“Un giorno apro il giornale e leggo che la Reggina sta trattando Baggio.
Telefono a Cesare Medori, un amico di Roberto, una cara persona che non c’è più e gli chiedo: “Ti chiedo un piacere, chiamalo e fammi parlare con lui”. Baggio mi disse che era vero ma che non era convinto perché non voleva allontanarsi dalla famiglia.
Colsi al volo l’opportunità e gli chiesi: “Ti piacerebbe giocare a Brescia?”.
Roberto rispose: “Magari”.
Saltai in macchina, andai nell’ufficio del presidente Corioni e gli proposi: “Perché non portiamo Baggio a Brescia?”.
Corioni ci pensò un attimo e rispose: “Baggio è come il cacio sugli spaghetti”. Roberto stava allenandosi a Caldogno, con il suo preparatore personale.
Mi raccontò “Dribblo il mio preparatore e davanti ho il deserto”.
Questa è la storia dell’emarginazione di Roberto Baggio.
Perché fu emarginato? Dicevano che era rotto. Un paio di allenatori importanti gli avevano fatto terra bruciata. Cattiverie…
Da anni Roberto aveva un ginocchio che lo faceva tribolare, ma si curava.
Si presentava agli allenamenti un’ora prima per fare fisioterapia e potenziamento ed era l’ultimo ad abbandonare il campo.
E poi le partitelle con lui diventavano poesia… Che cosa ha rappresentato Baggio nella mia carriera? Mi ha reso bello il finale.
Sono stato un allenatore fortunato: vivere il tramonto della mia professione con lui è stata una magnifica esperienza.
È stato difficile gestirlo?
Gestire Robi è stata una passeggiata. Era silenzioso, educato, rispettoso, umile.
Non ha mai fatto pesare la sua grandezza.
Era un amico che mi faceva vincere la domenica.
Baggio è stato uno dei più grandi calciatori italiani di sempre.
Ma è stato più grande come uomo.
Sì, lo posso dire: l’uomo supera il giocatore…”.
CARLO MAZZONE