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Distinzione tra concessione e appalto di servizi
Il lettore ci chiede se, nel caso di affidamento del servizio ad una società che sopporti i rischi collegati alla prestazione del servizio ed ottiene la sua controprestazione, almeno in parte, dagli utenti del servizio, attraverso la riscossione di un prezzo, si possa parlare di concessione e non di appalto di servizi e se sia possibile l’affidamento senza gara. La giurisprudenza, prima della recente riforma degli appalti, si è lungamente occupata della distinzione tra concessione ed appalto di servizi. Come correttamente rilevato dal Tar Liguria, in una sentenza del 2014 :
- la differenziazione tra l’appalto e la concessione di servizi costituiva una questione di difficile soluzione;
- la legislazione non era univoca e le prime ipotesi di assimilazione delle due fattispecie avevano avuto lo scopo di imporre l’applicazione delle regole di trasparenza e concorrenzialità anche alle concessioni;
- la necessità di una chiara distinzione tre le due ipotesi era derivata soprattutto dalla normativa comunitaria, che alla questione aveva dedicato le direttive del 2004, che gli Stati membri avrebbero dovuto recepire nei rispettivi ordinamenti;
- il discrimine tra le due figure era soprattutto individuato nel rischio operativo, che doveva sempre gravare sul concessionario e che non sussisteva allorché l’amministrazione pubblica si obbligava a coprire le eventuali perdite occorse nell’esercizio dell’attività esercitata, comunque, nell’interesse pubblico;
- l’appalto di servizi ricorreva, invece, allorché l’ente aggiudicatore acquisiva, in senso ampio, un vantaggio dall’attività dell’appaltatore, senza con ciò ottenere necessariamente il trasferimento della proprietà di un bene;
- la giurisprudenza aveva più volte affrontato la questione, giungendo a conclusioni a quella data condivise nel senso che il concessionario avrebbe dovuto remunerarsi erogando il servizio all’utenza, che a sua volta gli avrebbe corrisposto una tariffa nella misura determinata dall’autorità concedente o da un organismo regolatore indipendente, mentre nell’appalto l’imprenditore avrebbe ottenuto dall’amministrazione aggiudicatrice il compenso pattuito senza necessità di avere rapporti negoziali con gli utenti del servizio.
Vi era anche un orientamento giurisprudenziale che poneva l’accento sul corrispettivo. È il caso di alcune pronunce del Tar Lombardia, secondo cui la differenza elaborata fra appalto e concessione di pubblici servizi consiste nel fatto che mentre nel primo si prevede un corrispettivo che è pagato direttamente dall’amministrazione aggiudicatrice al prestatore di servizi; nella concessione la remunerazione del prestatore di servizi proviene non già dall’autorità pubblica interessata, bensì dagli importi versati dai terzi per l’utilizzo del servizio, con la conseguenza che il prestatore assume il rischio della gestione dei servizi in questione. Per concludere questo breve excursus degli orientamenti che hanno preceduto la riforma, è il caso di richiamare una sentenza resa, sull’argomento, nel 2013, dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, la quale ha negato una progressiva assimilazione tra i due istituti (appalto e concessione), con l’obiettivo, di matrice europea, di vincolare i soggetti aggiudicatori a rispettare, anche nelle procedure di affidamento delle concessioni, i principi dell’evidenza pubblica comunitaria.
La concessione nella riforma degli appalti
La normativa [1], da una parte, conferma l’applicazione alle concessioni dei principi dell’evidenza pubblica. Alle procedure di aggiudicazione di contratti di concessione di lavori pubblici o di servizi si applicano, per quanto compatibili, i principi generali, le esclusioni, le modalità e le procedure di affidamento, le modalità di pubblicazione e redazione dei bandi e degli avvisi, i requisiti generali e speciali e ai motivi di esclusione, i criteri di aggiudicazione, le modalità di comunicazione ai candidati e agli offerenti, i requisiti di qualificazione degli operatori economici, i termini di ricezione delle domande di partecipazione alla concessione e delle offerte, le modalità di esecuzione. La riforma conferma l’essenzialità del rischio a carico del concessionario al fine di poter configurare questo tipo di contratto. Per concessione di servizi deve intendersi un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale una o più stazioni appaltanti affidano a uno o più operatori economici la fornitura e la gestione di servizi, riconoscendo a titolo di corrispettivo unicamente il diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o tale diritto accompagnato da un prezzo, con assunzione in capo al concessionario del rischio operativo legato alla gestione dei servizi. Per rischio operativo deve intendersi il rischio legato alla gestione dei lavori o dei servizi sul lato della domanda o sul lato dell’offerta o di entrambi, trasferito al concessionario, chiarendo che si considera che il concessionario assuma il rischio operativo nel caso in cui, in condizioni operative normali, non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione e che la parte del rischio trasferita al concessionario deve comportare una reale esposizione alle fluttuazioni del mercato tale per cui ogni potenziale perdita stimata subita dal concessionario non sia puramente nominale o trascurabile. Nei contratti di concessione, la maggior parte dei ricavi di gestione del concessionario proviene dalla vendita dei servizi resi al mercato che tali contratti comportano il trasferimento al concessionario del rischio operativo riferito alla possibilità che, in condizioni operative normali, le variazioni relative ai costi e ai ricavi oggetto della concessione incidano sull’equilibrio del piano economico finanziario e, infine, che le variazioni devono essere, in ogni caso, in grado di incidere significativamente sul valore attuale netto dell’insieme degli investimenti, dei costi e dei ricavi del concessionario.
Affidamento ad una società in house
Dopo avere ripercorso la distinzione tra concessione ed appalto, abbiamo visto che, in nome della tendenziale assimilazione tra i due contratti, anche la concessione debba soggiacere ai principi sull’evidenza pubblica. Procedendo con ordine dobbiamo, a questo punto, chiederci cosa accade se la società aggiudicataria dell’affidamento abbia tali caratteristiche per cui potrebbe non essere necessario procedere ad una gara, ricorrendo le condizioni per un affidamento diretto. La riforma degli appalti prevede che una concessione o un appalto pubblico, nei settori ordinari o speciali, aggiudicati da un’amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato, non rientrino nell’ambito di applicazione del codice quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
- l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore esercita sulla persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi;
- oltre l’80% delle attività della persona giuridica controllata è effettuata nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore di cui trattasi;
- nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati previste dalla legislazione nazionale, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.
Un’amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore esercita su una persona giuridica un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi qualora essa eserciti un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica controllata. Aggiunge che tale controllo può anche essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore. Per determinare la percentuale delle attività, deve prendersi in considerazione il fatturato totale medio, o una idonea misura alternativa basata sull’attività, quale i costi sostenuti dalla persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore nei settori dei servizi, delle forniture e dei lavori per i tre anni precedenti l’aggiudicazione dell’appalto o della concessione. Una considerazione particolare merita la terza tra le condizioni poste dalla norma che ammette, con una disposizione innovativa, la possibilità che nella persona giuridica controllata vi sia una partecipazione diretta di capitali privati, purché non esercitino un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata ossia sulle scelte strategiche e gestionali.
L’affidamento ad una società mista
La legge prende, infine, in esame la possibilità di affidamento ad una società mista, prevedendo che, nei casi in cui le norme vigenti consentono la costituzione di società miste per la realizzazione e gestione di un’opera pubblica o per l’organizzazione e la gestione di un servizio di interesse generale, la scelta del socio privato debba avvenire con procedure di evidenza pubblica.Circa, in particolare, la possibilità dell’affidamento ad una società mista della gestione del servizio di raccolta e gestione del ciclo dei rifiutipuò essere utilmente richiamato un parere reso, nel 2013, dalla Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia. La Corte, tra i modelli astrattamente esperibili per gestione del servizio detto, indica l’affidamento del servizio con socio appaltatore. La scelta mediante procedura di evidenza pubblica del socio privato non è, tuttavia, sufficiente perché si possa procedere ad affidamento diretto in favore della società mista. Sul punto può essere richiamata una decisione del Consiglio di Stato del 2010. Osserva il Collegio:
- che il principio generale è sempre quello della gara e che l’affidamento diretto è sempre una deroga a tale principio;
- che tale deroga è consentita in casi di stretta interpretazione, per cui la società mista si giustifica quale forma di partenariato pubblico-privato costituito per la gestione di uno specifico servizio per un tempo determinato;
- che non si ha in questi casi una esenzione dal principio della gara ma muta l’oggetto della gara che deve sempre essere esperita ma non più per trovare il terzo gestore del servizio, bensì il partner privato con cui gestire il servizio;
- che appare, pertanto, evidente che le società miste cosiddette aperte, costituite cioè per finalità specifiche ma indifferenziate, non possono essere affidatarie dirette in quanto non soddisfano le condizioni a cui è ancorata la deroga.
Una più recente sentenza del Consiglio di Stato consente di cogliere, con chiarezza, la distinzione tra affidamento a società in house ed a società mista. Secondo la decisione del Collegio:
- la differenza tra la società in house e la società mista consiste nel fatto che la prima agisce come un vero e proprio organo dell’amministrazione dal punto di vista sostanziale, mentre la diversa figura della società mista a partecipazione pubblica, in cui il socio privato è scelto con una procedura ad evidenza pubblica, presuppone la creazione di un modello nuovo, nel quale interessi pubblici e privati trovino convergenza;
- in quest’ultimo caso, l’affidamento di un servizio ad una società mista è ritenuto ammissibile a condizione che si sia svolta una unica gara per la scelta del socio e l’individuazione del determinato servizio da svolgere, delimitato in sede di gara sia temporalmente che con riferimento all’oggetto. La Corte di Giustizia ha, infatti, ritenuto l’ammissibilità dell’affidamento di servizi a società miste, a condizione che si svolga in unico contesto una gara avente ad oggetto la scelta del socio privato (socio non solo azionista ma soprattutto operativo) e l’affidamento del servizio già predeterminato con obbligo della società mista di mantenere lo stesso oggetto sociale durante l’intera durata della concessione;
- la chiave di volta del sistema è rappresentata dal fatto che l’oggetto sia predeterminato e non genericamente descritto, poiché altrimenti, è evidente, sarebbe agevole l’aggiramento delle regole pro-competitive a tutela della concorrenza.
La sezione richiama una propria precedente decisione , nella quale, pur affermando, in quel caso, alla stregua dei principi comunitari e della loro interpretazione desumibile dalla giurisprudenza nazionale che l’affidamento diretto di un servizio a una società mista non fosse incompatibile con il diritto comunitario, a condizione che la gara per la scelta del socio privato della società affidataria fosse stata espletata nel rispetto dei principi di parità di trattamento, di non discriminazione e di trasparenza, aveva anche ribadito che i criteri di scelta del socio privato dovessero essere riferiti non solo al capitale da quest’ultimo conferito, ma anche alle capacità tecniche di tale socio e alle caratteristiche della sua offerta in considerazione delle prestazioni specifiche da fornire, in guisa da potersi inferire che la scelta del concessionario risultasse indirettamente da quella del socio medesimo.
Conclusioni
Alla luce di quanto sottoposto, riteniamo di poter dire, in risposta al quesito posto, che nel caso in esame, ove il rischio d’impresa faccia carico al concessionario, si può parlare di concessione e che l’affidamento della concessione alla società mista (distinta dalla società in house per quanto detto) possa essere ammissibile a condizione che vi sia una unica gara per la scelta del socio e l’individuazione del determinato servizio da svolgere, delimitato, in sede di gara, sia temporalmente che con riferimento all’oggetto, con obbligo della società mista di mantenere lo stesso oggetto sociale durante l’intera durata della concessione.
Articolo tratto da una consulenza dell’avv. Emanuele Carta
note
[1] Contenuta nel d.lgs n. 50 18.04.2016.