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Lei è Teresa. Vive a Roma, è separata e madre di due figli. Andrea ha 14 anni, è il primogenito. È un ragazzo solare, ama cantare, frequenta la prima liceo. È il 2012. Teresa torna a casa, Andrea le consegna la pagella. Tutte insufficienze. Lei è stupita, gli chiede come mai. La ragazza che gli piace l’ha respinto. Teresa lo abbraccia, prova a consolarlo.
È il 14 novembre. Il suo Andrea compie 15 anni, al ritorno da scuola è molto triste. Teresa non si preoccupa, forse è una fase passeggera. Per tirarlo un po’ su organizza una festa in famiglia, Andrea la stringe forte. Grazie mamma.
Passa qualche giorno. Teresa è in Calabria dalla madre. Riceve una chiamata dall’ex marito. Risponde. Dall’altra parte del telefono, sente delle urla. Cosa succede? Cade la linea. Teresa ha il cuore a mille. Richiama. L’ex marito balbetta. Non so come dirtelo, Andrea si è impiccato.
I giorni successivi sono il caos. Teresa è in obitorio, tocca il corpo del figlio, freddo, fragile. La sensazione le rimane impressa per sempre. Pensa di non farcela, di impazzire. Una domanda la tormenta. Perché? Apre il giornale. La morte di Andrea è in prima pagina. Lo chiamano il ragazzo dai pantaloni rosa. Teresa non capisce, fa domande ad amici e professori, e scopre tutta la verità. Scopre che il figlio era vittima di bullismo da quando un giorno, nonostante i suoi pantaloni fossero diventati rosa per una lavatrice sbagliata, aveva deciso di indossarli lo stesso.
I compagni avevano iniziato a umiliarlo, qualcuno aveva aperto una pagina social apposta per ridicolizzarlo. Teresa è sconvolta, non ha mai sospettato nulla. Si sente una pessima madre.
La procura indaga, e conclude che Andrea non era oggetto né di omofobia né di bullismo. Teresa è l’ombra di se stessa, solo una cosa la tiene in piedi. Testimoniare. Scrive un libro, gira le scuole, parla della sua esperienza. Perché nessuna madre commetta più l’errore di sottovalutare la tristezza negli occhi dei propri figli, perché nessuna provi quella sensazione che le è rimasta impressa sul palmo della mano, quella carezza di pietra. Perché tutti i ragazzi con i pantaloni rosa sparsi per il mondo capiscano che vale la pena vivere.
Carmelo Abbate