Tra Napoli e Terra di Lavoro…il brigantaggio, continuato con mezzi elettorali…
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Nel fissare le nuove 143 circoscrizioni per le elezioni del nuovo parlamento unitario, la preoccupazione principale di Cavour era di ridurre al “minor numero di deputati napoletani possibile” la presenza meridionale, temendo una forte opposizione politica, che in realtà non si verificò mai. La nuova classe politica napoletana postunitaria, più che essere il risultato dell’espansione della borghesia dell’epoca, era l’espressione degli interessi di una ristretta elite intellettuale, di formazione liberale, che andava acquisendo un peso crescente in una società nella quale principi e caste, sacerdoti e chiese, erano diventate le forze sfuocate che avevano portato allo sfaldamento del Regno delle Due Sicilie. Cavour morì improvvisamente il 6 giugno del 1861, lasciando incompleta la tessitura della fitta trama che aveva portato alla nascita del Regno d’Italia, un vuoto che fu colmato con la repressione militare e con l’organizzazione del consenso clientelare nelle province meridionali.
Fu necessaria la rivoluzione parlamentare del 1876, con l’avvento al potere della Sinistra Storica, ed il primo governo Depretis, per iniziare a problematizzare quel rapporto tra il nord ed il sud del paese in cui Gramsci, successivamente, vide la chiave di volta nel rapporto tra città e campagna, in un rapporto di egemonia tra il nord industriale ed il sud agricolo che si presentava già nel primo periodo postunitario come permanente. Lo Stato liberale trovava un limite insuperabile nell’arretratezza della società meridionale, alla quale restavano estranei gli istituti giuridici ed i principi ideali dello stato, che venivano visti come strumenti di oppressione.
Subito dopo la caduta del Regno delle Due Sicilie, era stata istituita la luogotenenza generale delle province meridionali, con a capo Luigi Carlo Farini, ed il Consiglio di Luogotenenza nel quale erano stati nominati quattro direttori, fedeli a Cavour. Tra questi, Silvio Spaventa (interni e capo della polizia), nel breve periodo in cui rimase in carica, si adoperò per far dimettere tutti gli elementi autonomisti, sostituendoli con suoi uomini di fiducia, inaugurando il governo militare e speciale che durò per cinque anni.
Silvio Spaventa, si diede come obiettivo di cacciare i camorristi che nel caos della caduta del regno borbonico, si erano intrufolati nella Guardia Nazionale e nella gestione del contrabbando, attuando provvedimenti che causarono disordini in città, ed avviò anche la politica prefettizia della destra storica, scegliendo personalmente i prefetti campani, i quali, in regime di stato d’assedio, avevano anche l’incarico della direzione della vita politica delle province sotto la loro autorità, nonché l’organizzazione del consenso alle nuove istituzioni statali. Il prefetto di Caserta, Carlo Mayr, e quello di Napoli, Rodolfo D’Afflitto, si adoperarono subito per stringere rapporti con i notabili, manovrando nei ruoli strategici dell’apparato statale.
L’associazione dei liberali piemontesizzati di Spaventa mise in atto, nel corso dei primi anni del Regno d’Italia, un tentativo di emarginazione della borghesia terriera meridionale, di liquidazione del garibaldinismo e della piccola borghesia radicale, sotto il mantello della necessità di garantire la sicurezza dello Stato.
Attraverso il controllo di giornali come Il Nomade, L’Avvenire, e La Patria, e la tessitura di una trama di potere sviluppata intorno al sistema delle prefetture, il gruppo Spaventa attuò una strategia mirata ad occupare i collegi meridionali, riuscendo a raggiungere il numero di 46 componenti alla Camera del Regno. Silvio Spaventa, eletto deputato ininterrottamente tra il 1861 ed il 1889, venne nominato sottosegretario al ministero dell’Interno nei governi Farini e Minghetti (dicembre 1862 e settembre 1864), organizzando la repressione del brigantaggio. Fu poi ministro dei Lavori Pubblici tra il 1873 ed il 1876.
Il ruolo di Nicotera nelle amministrazioni locali resterà determinante fino agli anni novanta dell’Ottocento, ed all’inizio dell’età giolittiana, rafforzato dagli incarichi di ministro dell’Interno nel primo governo Depretis (tra il 1876 ed il dicembre del 1877) e nel primo governo Rudinì (tra il 1891 ed il maggio 1892).Depretis
Le elezioni del 1874 rappresentarono un momento di svolta per l’intero mezzogiorno. Alla Destra Storica andarono 276 seggi, contro i 232 della Sinistra liberale, ma fu straordinario il risultato nell’Italia meridionale, dove ai candidati della Sinistra andò il 43% dei voti, totalizzando 147 deputati su 203. Nell’Italia meridionale i voti per la sinistra furono 43.558, a cui si aggiungevano i 20.082 voti raccolti nelle isole. Alla sinistra liberale storica di derivazione piemontese, di Urbano Rattazzi e di Agostino Depretis, ed a quella storica nazionale, mazziniana, federalista e garibaldina, di Benedetto Cairoli e Giuseppe Zanardelli venne così a aggiungersi una “Sinistra meridionale”, che aveva in Francesco De Sanctis, Nicola De Luca e Giovanni Nicotera, i principali esponenti.
L’allargamento del suffragio, affiancando al criterio censitario il criterio meritocratico, basato sull’istruzione, determinò un meccanismo di formazione della classe politica che passò dalla detenzione del possesso della terra alla qualificazione professionale, facendo emergere il protagonismo di una classe media che diete vita ad un nuovo notabilato politico basato su rapporti di tipo interpersonale, ad una rappresentanza localistica e settoriale; ad un patteggiamento continuo tra il livello locale e quello parlamentare.
Il deputato Alfonso Visocchi, ex sindaco di Atina eletto nel collegio di San Germano (Cassino,) con importanti interessi nell’agricoltura e proprietario di una cartiera, fu eletto per nove legislature (dalla IX alla XIX, conclusasi nel 1895), lasciando poi il posto al nipote Achille Visocchi, eletto per altre nove legislature (dalla XX alla XIX, conclusasi nel 1929, anno in cui divenne senatore), che ricoprì importanti incarichi ministeriali: sottosegretario ai Lavori Pubblici con Salandra (1914-1916), al Tesoro con Orlando (1917-1919), e Ministro dell’Agricoltura nel governo Nitti.
Nel collegio di Piedimonte d’Alife, alle elezioni del 1861, il garibaldino Gaetano del Giudice, nominato governatore della capitanata, sconfitto dal compaesano Beniamino Caso, fu eletto grazie alla scelta di questi di optare per il collegio di Caserta, dove era anche era risultato vittorioso. Gaetano Del Giudice fu eletto poi per altre due legislature, nel 1865 e nel 1867, lasciando il posto al fratello, il consigliere provinciale Achille Del Giudice, che fu eletto nel 1870, rieletto nel 1874 ed ancora nel 1876, per poi essere nominato senatore grazie agli uffici di Giovanni Nicotera, diventato nel frattempo Ministro dell’Interno.
Durante gli anni ottanta, dopo le perequazioni fondiarie, la leadership di Depretis andò in crisi a causa della dissidenza di una parte della sua maggioranza, guidata da Giolitti, e dai conservatori di Spaventa, Sonnino e Salandra. Nelle elezioni del 1886 i deputati eletti della maggioranza parlamentare furono 280, mentre all’opposizione, ben 94 dei 196 complessivi furono eletti nel meridione. Il nuovo governo del massone Francesco Crispi lanciò il paese nella gara coloniale internazionale mentre la spesa pubblica si preoccupava principalmente di sostenere i gruppi agrari ed industriali più potenti. La politica si indirizzò verso i ceti emergenti, con una sostenuta ed allegra politica edilizia e finanziaria che favorì principalmente le numerose banche di emissione, e gli istituti di credito.
La scandalo divenne poi famoso come quello del Crac della Banca Romana, la cui circolazione risultò due olte superiore a quella consentita dalla legge. La relazione fu resa pubblica solo nel 1892, durante il governo Giolitti, sulla stampa intanto faceva colpo i debiti illeciti contratti dall’onorevole Rocco De Zerbi, per oltre mezzo milione di lire, il quale poi morì per avvelenamento il 20 febbraio del 1893, pochi giorni il voto della Camera per l’autorizzazione a procedere nei suoi confronti, mentre sui quotidiani iniziava a parlare di “alta camorra” e “camorra in guanti gialli”.
Il protezionismo favorì la conduzione latifondista, che rinunciò agli investimenti per ammodernare e rendere più produttivi i terreni e gli allevamenti, accontentandosi della rendita dei fitti dei terreni ai contadini. Il progressivo frazionamento della proprietà fondiaria, dovuto alle divisioni ereditarie, nel momento in cui aumentava la pressione della popolazione nelle campagne, spinse molti giovani all’emigrazione, che in quegli anni interessò 13 milioni di italiani, molti dei quali si stabilirono definitivamente all’estero.
L’aumento della protezione sulle manifatture cotoniere e laniere, sull’industria siderurgica e sulla chimica, sui prodotti meccanici, spinse la Francia ad adottare diritti doganali differenziali doganali con l’Italia che reagì, per ritorsione, adottando un provvedimento analogo con il paese transalpino. Ad uscire rafforzato dal protezionismo fu solo il blocco industriale del nord ed il sistema bancario, che costruì la base economica per lo sfruttamento strutturale del mercato meridionale da parte della borghesia del nord, diventata finanziariamente in grado di competere con quella straniera, che aveva abbandonato il campo.
A partire dagli anni novanta dell’Ottocento, il ricambio della classe politica comportò anche il cambiamento dei rapporti tra Napoli e province. L’allargamento del suffragio cambiò anche la modalità della costruzione del consenso politico, con la più ampia partecipazione dei ceti popolari, grazie anche alla comparsa del Partito Socialista, basato su una struttura ben definita, con una direzione centrale, un segretario, le sezioni territoriali, le quote tessera ed i fogli di propaganda. In pochi anni i socialisti riuscirono a passare da 4 deputati, nel 1890, a 6 nel 1892, a 12 nel 1895 (con 77.000 voti), a 16 nel 1897 (con 130.000 voti).